IL MANTENIMENTO DEL FIGLIO MAGGIORENNE INERTE AL LAVORO

L’obbligo dei genitori di concorrere al mantenimento dei figli, secondo le regole degli artt. 147 e 148 cod. civ., non cessa, ipso facto, con il raggiungimento della maggiore età da parte di questi ultimi, ma perdura, immutato, finché il genitore interessato alla declaratoria della cessazione dell’obbligo stesso non dia la prova che il figlio ha raggiunto l’indipendenza economica, ovvero che il mancato svolgimento di un’attività dipende da un atteggiamento di inerzia ovvero di rifiuto ingiustificato dello stesso.

Sul punto la Suprema Corte di Cassazione, già a partire dal 1999 con la sentenza n.91099, affermava che tale obbligo “non può protrarsi oltre ogni ragionevole limite” ma cessa quando tale limite viene superato a causa della condotta colposa del figlio. 

Si tratta di un orientamento ribadito anche con la sentenza n.1830 del 26/01/2011/2011 con la quale si precisa  che l’ obbligo di mantenimento può venire meno in favore del figlio maggiorenne solo se lo stesso “…malgrado i genitori gli abbiano assicurato le condizioni necessarie e sufficienti per concludere gli studi e conseguire un titolo indispensabile per accedere alla professione auspicata, non abbia saputo trarne profitto per inescusabile trascuratezza o per libera ma discutibile scelta o, comunque, non sia stato in grado di raggiungere l’autosufficienza economica per propria colpa”.

Quindi l’assegno continua ad essere erogato solo quando l’inoccupazione del figlio maggiorenne dipenda da cause a lui non addebitabili, e comunque non dipendenti dalla propria svogliatezza (sent. Cass. Civ. Sez. VI n. 7970 del 02 aprile 2013).

Il genitore che contesta la sussistenza del proprio obbligo di mantenimento nei confronti del figlio maggiorenne è tenuto quindi a fornire la prova che ciò dipenda da condotta colpevole del figlio, che persista in un atteggiamento di inerzia nella ricerca di un lavoro compatibile con le sue attitudini, rifiuti immotivatamente offerte di lavoro, o abbandoni senza valide giustificazioni il posto di lavoro (cfr. Cass. Civ. Sez. I 18.01.2005 n. 951, Cass. n. 475/1990, Cass. n. 13126/1992, Cass. n. 8383/1996, Cass. n. 4765/2002).

 Incomberà invece sul destinatario dell’assegno la dimostrazione di aver fatto tutto quanto nelle sue concrete possibilità per trovare una collocazione effettiva in ambito lavorativo, commisurata alle sue obiettive capacità ed aspirazioni.

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